Le aziende italiane investono nel benessere, ma il risultato non convince i dipendenti

23 gennaio 2025

In Italia, il 64% delle aziende offre servizi per il benessere psico-fisico e relazionale dei dipendenti, ma solo il 9% dei lavoratori si sente realmente bene sul lavoro. Nonostante un investimento medio di 1.850€ per dipendente, il 90% del budget è destinato a benefit monetari tradizionali, mentre solo il 10% è riservato a iniziative mirate a work-life balance, sviluppo personale e benessere.

Una ricerca condotta a fine 2024 dall’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano in collaborazione con JOINTLY evidenzia un divario tra ciò che le aziende offrono e le reali esigenze dei lavoratori, causando insoddisfazione e risultati limitati. Solo un lavoratore su quattro percepisce un concreto impegno della propria azienda verso il benessere, mentre il 32% si è assentato nell’ultimo anno a causa di stress o ansia.

“La relazione fra azienda e lavoratore sta vivendo un momento critico. Le aziende fanno sempre più fatica a trovare, motivare e trattenere le persone, ma continuano a adottare approcci tradizionali per affrontare questa sfida. I lavoratori si sentono sempre meno ingaggiati e segnalano un aumento di situazioni di malessere - afferma Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano -. Le organizzazioni devono adottare un approccio organico e strutturato al tema del benessere, in grado di rispondere ai reali bisogni delle persone. Per massimizzare i risultati delle iniziative di corporate wellbeing non serve investire di più, ma meglio, attraverso una strategia unica e integrata, evitando di disperdere energie e lanciare comunicazioni contraddittorie alle persone”.

La chiave non è aumentare la spesa, ma investire meglio, con strategie integrate e obiettivi chiari. Ad oggi, solo il 15% delle aziende ha una governance strutturata per il wellbeing, e appena il 7% dei dipendenti giudica efficace la comunicazione aziendale sui benefit. Per fare davvero la differenza, il corporate wellbeing deve diventare parte di una strategia aziendale sistemica, che supporti i dipendenti a livello personale e organizzativo.

Quello che emerge è che le aziende continuano a investire gran parte del loro budget su iniziative tradizionalmente legate alla retribuzione (e spesso vincolate da contratti collettivi nazionali o accordi aziendali), mentre gli interventi che hanno un reale impatto su benessere ed engagement ottengono paradossalmente risorse marginali. E restano inefficaci se non inquadrate in una strategia organizzativa. Un esempio? È inutile che la maggior parte delle aziende (64%) offra servizi di benessere fisico e psicologico per “tamponare” il malessere in ufficio se poi solo un dipendente su quattro (25%) ritiene che la propria azienda si occupi concretamente del suo benessere. Bisogna agire alla radice del problema, o se vogliamo sviluppare un benessere che sia organizzativo e personale insieme. Le aziende che vogliono continuare a crescere ed essere attrattive devono quindi saper passare ad un approccio sistemico, in cui il corporate wellbeing non è più "cosa si fa", ovvero un insieme di iniziative, ma è il risultato di una people strategy finalizzata a un'esperienza lavorativa in cui le persone si sentano abilitate e supportate nel realizzare il proprio purpose all'interno e a servizio dell’organizzazione” afferma Francesca Rizzi, AD JOINTLY

Per maggiori dettagli e per scaricare lo studio completo cliccare qui


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